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Legge sui collari elettrici

STUDIO
Avv. ANTONIO BANA
Avv. GIOVANNI BANA
Avv. GIUSEPPE BANA
Avv. LUIGI BANA
Avv. ANTONIO BANA
Avv. ANTONELLA BANA
Avv. MARCELLO BANA
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Avv. FRANCISCA BUCCElLATI
Avv. GIACOMO GUALTIERI
Dott. GAIA D'URBANO


20122 MILANO - VIA S. ANTONIO, 11
TEl. 0258303974 r.a - FAX 0258305005
info@studiobana.it


USO DEL COLLARE ELETTRICO SUI CANI: COSTITUISCE REATO?

Brevi considerazioni di carattere tecnico giuridico nell'interesse delle Società produttrici
e distributrici sul mercato nazionale e mondiale dei collari ad impulso elettrostatico
per cani, tutte facenti parte dell'Associazione ECMA for Pet Protection.


1. Da alcuni anni ci si chiede se l'uso sui cani di collari ad impulso elettrostatico (c.d. collari elettrici), in commercio in Italia come in altre parti del mondo e destinati all'attività di addestramento, sia lecito oppure dia luogo a un fatto di maltrattamento di animali penalmente rilevante ai sensi:

- dell'art 544 ter c.p., che punisce con la reclusione da tre mesi a un anno oppure, in alternativa, con la multa da 3.000 a 15.000 euro "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche" (comma l), nonché chiunque sottopone animali "a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi" (comma 2), oppure;
- dell'art. 727, comma 2 c.p., che punisce con l'arresto fino a un anno oppure, in alternativa, con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze".

La domanda si pone in quanto:
a) tra il 2005 e il 2008 si sono succedute tre ordinanze ministeriali contingibili e urgenti del Ministero della Salute¹, che hanno vietato l'uso di quei collari, affermandone la rilevanza penale quale ipotesi di maltrattamento di animali (la prima delle tre ordinanze ha richiamato espressamente l'art. 727, comma 2 c.p.);
b) il Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) del Lazio, accogliendo le istanze presentate da alcune ditte che commercializzano i collari elettrici, ha annullato le tre ordinanze di cui sopra, facendo venire meno, pertanto, il divieto dell'uso del collare elettrico². In particolare, in relazione alla prima delle tre ordinanze, successivamente reiterata, il T.A.R. ha affermato che "risulta adottata senza alcuna istruttoria precisa e senza l'indicazione delle ragioni di necessità ed urgenza che - sole - giustificano il ricorso al potere esercitato" dal Ministero di adottare ordinanze contingibili e urgenti. Il prodotto di cui si inibisce l'uso, prosegue il T.A.R., "risulta in commercio da anni, sicché non è dato comprendere quali siano state (e se vi sono state) le valutazioni sopravvenute a distanza di tanto tempo e quali le circostanze di fatto prese a riferimento, capaci di giustificare la determinazione assunta [cioè l'imposizione del divieto di utilizzo dei collari elettrici].
Non può, infatti, ritenersi tale la prevedibile reazione alla scossa elettrica da parte dell'animale atteso che si tratta di reazione sempre presente in una pratica non nuova, anzi seguita da anni.

______________________

¹Si tratta delle seguenti ordinanze del Ministero della Salute: o.m. 5 luglio 2005, in G.U. n. 158 del 9 luglio 2005; o.m. 12 dicembre 2006, in G.U. n. 10 del 13 gennaio 2007; o.m. 14 gennaio 2008, in G.U. n. 23 del 28 gennaio 2008.
²T.A.R. Lazio, Sez. III Quater, sent. 12 aprile 2006 n. 8614, in www.ambientediritto.it; Id., ord. 11 aprile 2007, inedita; Id., ord. 23 aprile 2008, inedita.
______________________


c) la Corte di Cassazione, con la sentenza 13 gennaio 2007 n. 15061, ha rigettato un ricorso con il quale una persona, indagata per il reato di maltrattamento di animali per avere "abusato" del collare di tipo elettrico antiabbaio apposto al collo del proprio cane, chiedeva il dissequestro dell'animale. Nell'affermare la legittimità del sequestro preventivo dell'animale la Cassazione non ha provveduto ad una precisa qualificazione giuridica del fatto, che ha demandato al successivo giudizio di merito (non ha cioè indicato quale reato avrebbe commesso il proprietario del cane: il delitto di cui all'art. 544 ter c.p., ovvero la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p.), e si è limitata a rilevare come il sequestro avesse, nel caso sottoposto al suo giudizio, "lo scopo di evitare il protrarsi di una situazione di inutile sofferenza dell'animale costituente reato" (sic). La Cassazione ha affermato che l'uso del collare antiabbaio "rientra nella previsione del codice penale che vieta il maltrattamento di animali" ed integra quanto meno il reato di cui all'art. 727 c.p. perché "nel caso in esame il referto medico del veterinario richiamato nella richiesta di sequestro preventivo attestava lo stato di sofferenza dell'animale";
d) la recente ordinanza ministeriale 3 marzo 2009 (in G.U. n. 68 del 23 marzo 2009), a differenza delle tre precedenti delle quali si è detto, non contempla più nel suo articolato (nella c.d. parte ordinativa) alcun divieto di utilizzo dei collari elettrici: si limita solamente, nella propria premessa, ad un ambiguo ed erroneo riferimento all'anzidetta sentenza della Corte di Cassazione. Secondo la citata ordinanza, quella sentenza avrebbe affermato che l'uso del collare di tipo elettrico, quale "congegno che causa al cane un'inutile e sadica sofferenza" rientra nella previsione dell'art. 544 ter c.p.

Sennonché, come rivela la lettura del testo della sentenza in questione, che il collare elettrico sia un "congegno che causa al cane un'inutile e sadica sofferenza" è affermazione non già della Cassazione, bensì del Tribunale del Riesame di Vicenza, e viene riportata nel testo della sentenza della Cassazione solo per esporre la motivazione con la quale quel diverso giudice ha confermato il sequestro preventivo del cane di cui sopra. Non solo: non risponde al vero, come anche in questo caso rivela la lettura della richiamata sentenza della Cassazione, che questa abbia affermato che l'uso del collare elettrico rientra nella previsione dell'art. 544 ter c.p.: come si è detto la Cassazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, si è limitata ad affermare, in presenza di una certificazione veterinaria attestante la "sofferenza" dell'animale sul quale è stato fatto "abuso" del collare elettrico, che è configurabile un maltrattamento di animali, senza però prendere posizione sulla configurabilità del delitto di cui all'art. 544 ter c.p., piuttosto che della meno grave contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p.

2. In un siffatto confuso quadro di riferimento, normativo e giurisprudenziale, la risposta al quesito dal quale abbiamo preso le mosse - se l'uso del 'collare elettrico' sia lecito, ovvero costituisca reato e, in quest'ultimo caso, se integri il delitto di cui all'art. 544 ter ovvero la meno grave contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p. - deve passare, anzitutto, attraverso due fondamentali premesse, che non è inutile richiamare:
a) in materia penale vige il principio della riserva di legge (art. 25, comma 2 Cost.): solo una legge approvata dal Parlamento, ovvero, secondo i fautori della c.d. riserva in senso materiale, un atto avente forza di legge emanato dal Governo (un decreto legge o un decreto legislativo), può stabilire se una certa condotta (nel caso di specie l'uso del collare elettrico) costituisca o meno reato. E' assolutamente pacifico che le ordinanze ministeriali, in quanto atti non aventi forza di legge, non possono invece legittimamente stabilire cosa costituisca reato. La soluzione alla suddetta domanda, pertanto, deve prescindere del tutto dalle citate ordinanze ministeriali e, in particolare, da quella del 3 marzo 2009, l'unica oggi in vigore;
b) le pronunce della Cassazione - il riferimento è alla suddetta sentenza richiamata dall'ordinanza ministeriale del 3 marzo 2009 - non hanno naturalmente forza di legge (né tale forza, anche per quanto si è detto, può essere loro attribuita da un'ordinanza ministeriale):
riguardano infatti singoli casi concreti (in quello suddetto: un'ipotesi di abuso del collare elettrico su cane del quale è stato certificato da un veterinario lo stato di sofferenza) e, come è noto, ben possono essere sconfessate da successive pronunce della stessa Cassazione, dando luogo a contrasti giurisprudenziali destinati talora ad essere risolti dalle Sezioni Unite, magari non definitivamente: la prassi conosce infatti numerose ipotesi in cui, nel tempo, si susseguono a proposito della medesima questione contrastanti decisioni delle Sezioni Unite.

Da queste premesse discende, quale conseguenza, che la risposta alla domanda che ci si è posti deve necessariamente trovare risposta nel testo della legge - degli art. 544 ter e 727, comma 2 c.p. -, verificando se ad essa sia o meno riconducibile l'utilizzo sui cani dei c.d. collari elettrici.
Orbene, se il collare elettrico viene usato per finalità di addestramento del cane, conformemente alle prescrizioni del produttore - se in altri termini di esso non viene fatto abuso, impiegandolo impropriamente come uno strumento di tortura - va senz'altro esclusa l'applicabilità dell'art. 544 ter, comma 1 c.p., che punisce in particolare chi, "per crudeltà o senza necessità", cagiona all'animale una "lesione", cioè una malattia nel corpo o nella mente, ovvero lo sottopone a "sevizie", cioè ad atroci dolori o feroci tormenti. Da un lato la finalità di addestramento esclude infatti che l'uso del collare avvenga "per crudeltà o senza necessità"; dall'altro lato un corretto utilizzo del collare medesimo - dotato di un meccanismo che varia l'intensità di emissione degli impulsi elettrici a seconda dei diversi livelli di sensibilità del tipo di cane di cui si tratta - esclude che quegli impulsi cagionino all'animale una lesione, cioè una malattia nel corpo o nella mente, ovvero sevizie, cioè atroci dolori o feroci tormenti.
Un corretto uso del collare ad impulsi elettrici, conforme alla finalità di addestramento per cui viene commercializzato (garantire un più efficace governo dell'animale, impedendo che questo possa ad esempio, molestare o aggredire l'uomo o altri animali), esclude altresì la configurabilità del reato previsto dall'art. 544 ter, comma 2 c.p., che punisce chiunque sottopone animali a "trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi". Se il collare elettrico viene utilizzato in modo conforme alle prescrizioni tecniche del produttore (rapportando opportunamente, ad esempio, l'intensità degli impulsi elettrici alle dimensioni del cane), esso non può infatti provocare un "danno alla salute" dell'animale. Non vi è dubbio che tale reato disciplinato dall' art. 544 ter codice penale, costituisce un reato di evento che si consuma quindi solo nel momento in cui dovesse insorgere una eventuale lesione o una condotta di sottoposizione dell’animale a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale.
Un corretto utilizzo del collare ad impulsi elettrici esclude infine la configurabilità del reato di cui all'art. 727, comma 2 c.p., che punisce chi detiene animali in condizioni "incompatibili con la loro natura" e produttive di "gravi sofferenze": da un lato, fare indossare un collare a un cane, come è evidente, non significa detenerlo in condizioni incompatibili con la propria natura; dall'altro lato, se il collare viene usato in modo corretto, cioè conformemente alle prescrizioni tecniche del produttore, esso non produce "gravi sofferenze".

In conclusione, un uso del collare ad impulsi elettrici conforme alle finalità per cui per viene commercializzato e alle prescrizioni tecniche del produttore esclude ogni ipotesi di maltrattamento di animali penalmente rilevante. Uno spazio per l'applicabilità delle norme incriminatrici previste dagli art. 544 ter e 727, comma 2 c.p. - come peraltro conferma la suddetta sentenza della Cassazione - residua nel caso di abuso del collare elettrico, che del tutto impropriamente venga adoperato per infliggere all'animale crudeli o inutili tormenti, ovvero per arrecare allo stesso lesioni (art. 544 ter, comma 1 c.p.), o danni alla salute (art. 544 ter, comma 2 c.p.), o ancora gravi sofferenze (art. 727, comma 2 c.p.). In tale ottica, a ben vedere, il collare elettrico per i cani non è diverso da un tradizionale mezzo di addestramento quale la frusta per i cavalli: se usata in modo proprio la frusta assolve alle finalità di buon governo dell'animale e non offende certo il sentimento umano di pietà per lo stesso; se però di essa si abusa, adoperandola non per il perseguimento di dette finalità ma, ad esempio, per seviziare l'animale con ripetute e violente frustate, magari in parti del corpo particolarmente sensibili, quel sentimento umano, tutelato dalla legge penale, risulta certamente offeso.

(Avv. Antonio Bana)
(Avv. Gian Luigi Gatta)

________________________________________________________

- IN BREVE -

Forse nessuno strumento comportamentale inventato dall'uomo è stato più denigrato del collare elettrico, o come lo chiamano i suoi detrattori, il collare shock. Io sono assolutamente d'accordo con chi critica questo strumento, il quale, se usato scorrettamente o messo nelle mani sbagliate, non solo può traumatizzare il cane, ma anche danneggiare in modo permanente la fiducia che desiderate instaurare con l'animale. Tuttavia, se adoperato da una persona esperta, nelle giuste circostanze, può fare la differenza cruciale per il vostro animale.

Tratto dal libro di Cesar Millan 'Il capobranco sei tu'

Sentenza costruttori collari elettrici

T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III quater, 15 Settembre 2006, Sentenza n. 8614

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma
Sezione III quater


composto dai seguenti magistrati:

Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente
Dr. Linda Sandulli - Consigliere relatore
Dr. Umberto Realfonzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 9985 del 2005 proposto dalla CANICOM srl e INNOTEK srl, rappresentate e difese dall’ avvocato Roberto Righi ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, Via Carducci 4;

CONTRO

Il Ministero della Salute, in persona del rappresentante legale in carica, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura dello Stato domiciliataria per legge in Roma, Via dei Portoghesi 12;

REGIONE LAZIO,
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO,
ENTE NAZIONALE CINOFILIA ITALIANA,
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO,
ENTE PROTEZIONE ANIMALI,

per l’annullamento 
dell’ordinanza del Ministero della Salute del 5 luglio 2005, pubblicata sulla G.U. R.I. n. 158 del 9 luglio 2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;
Nominato relatore all’Udienza Pubblica del 12 aprile 2006 il consigliere dr. Linda Sandulli e sentito l’avvocato Righi per la parte ricorrente; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato e depositato nei termini, le società Canicom e Innotek, impugnano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il Ministero della Salute vieta l’uso del collare elettrico per l’addestramento dei cani.

Deducono i seguenti motivi:

1. Violazione del principio di legalità articoli 23, 25 e 41 della Costituzione e dell’articolo 3 delle disposizioni sulla legge in generale. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 della legge 20 luglio 2004 n. 189 (artt. 544 ter e 727c.p.); violazione e falsa applicazione degli articoli 51, 52, 53 e 54 del codice penale. Difetto assoluto di attribuzione, straripamento, eccesso di potere per illogicità manifesta.

2. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 117 del D.Lgs.- 31 marzo 1998 n. 112. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti, carenza assoluta di istruttoria e difetto di motivazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha controdedotto nel merito delle argomentazioni svolte dalle ricorrenti e chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza del 12 aprile 2006 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda un’ordinanza contingibile ed urgente, di proibizione dell’uso del collare elettrico nell’addestramento dei cani, che le società indicate in epigrafe, svolgenti attività di impresa connessa alla commercializzazione di articoli ed accessori per l’educazione animale, contestano, ritenendola illegittima e lesiva dei loro interessi.

Prima di procedere alla trattazione delle censure sollevate dalle predette società il Collegio deve prendere in esame le eccezioni pregiudiziali mosse dall’Amministrazione resistente, a partire da quella di difetto della giurisdizione amministrativa.

Secondo la prospettazione delle medesime ricorrenti, avendo provveduto il Ministero della Salute, al di fuori dei presupposti ai quali la legge ricollega il legittimo esercizio del potere di adottare atti contingibili ed urgenti, anzi, in un ambito in cui lo stesso Ministero sarebbe privo di ogni potere, la posizione giuridica di cui viene chiesta la tutela risulterebbe essere di diritto soggettivo e non di interesse legittimo sicchè la questione all’esame avrebbe dovuto essere proposta avanti al giudice ordinario e non avanti a quello amministrativo.

L’eccezione è infondata.
Ai sensi dell'art. 368 c.p.c., la giurisdizione si determina sulla base dell'oggetto della domanda, secondo il criterio del "petitum" sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia da identificarsi anche attraverso la "causa petendi", costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dall'ordinamento senza che a tal fine possa assumere rilievo la prospettazione della parte. (T.A.R. Lazio, sez. III, 26 ottobre 2005, n. 9853, Cassazione Civile, sezioni unite n. 2507 del 7 febbraio 2006).
Nel caso in esame l’atto di cui viene chiesto l’annullamento, e del quale è stata chiesta in precedenza la sospensione, è un atto autoritativo esecutivo eliminabile soltanto attraverso un’azione impugnatoria di annullamento quale è quella proposta.
Ne consegue che il giudice competente a conoscere i vizi da cui si pretende affetto il
provvedimento gravato è quello amministrativo.

Con la seconda eccezione il Ministero resistente deduce l’inammissibilità del ricorso in quanto la determinazione oggetto del provvedimento - la preclusione di utilizzazione del collare elettrico per i cani - sarebbe immediatamente riferibile ai proprietari o agli istruttori dei cani e riguarderebbe le ricorrenti soltanto in via indiretta incidendo sulla loro attività di impresa.

Anche tale eccezione è infondata.
Nel processo amministrativo, l' interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l' interesse ad agire previsto dall'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare al ricorrente dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 5 agosto 2005, n. 10641).
L’impugnativa di un atto amministrativo, tesa alla sua eliminazione dal mondo del diritto, è riservata, infatti, a tutti coloro che da ciò possono trarre un vantaggio.
Per meglio precisare, deve ritenersi che gli interessati a ricorrere, -così come i controinteressati, i quali sono interessati a resistere- siano individuabili oltre che sul piano oggettivo, attraverso un loro espresso riferimento contenuto nell'atto impugnato, anche sul piano soggettivo, attraverso la considerazione dello svantaggio che gli stessi subiscono per effetto diretto ed immediato dell'atto.
Nel caso in esame, essendo le imprese ricorrenti, produttrici del bene di cui viene inibita l’utilizzazione da parte di alcuni soggetti, le stesse possono essere ritenute lese dall’atto impugnato ed interessate alla sua eliminazione.
Non può, invero, condividersi l’assunto dell’Amministrazione resistente secondo la quale, colpendo, il divieto impugnato, l’uso del collare elettrico per cani e non la sua produzione, le imprese de quo sarebbero toccate soltanto da conseguenze indirette.
Nel caso di un’impresa che costruisce automobili e motocicli, vietare l’uso dell’ automobile senza vietare la sua produzione non significa lasciare intatta la posizione dell’impresa produttrice e nemmeno toccarla indirettamente atteso che quel divieto incide immediatamente sul mercato servito da quell’impresa (e sul quale, verosimilmente, la stessa ha impostato la sua produzione) e quindi sulla sua capacità economica con inevitabili e immediate ripercussioni di portata tale da arrivare anche ad insidiarne la sopravvivenza.
Anche nel caso in esame, vietare l’uso di un collare destinato ai cani in ragione di un superiore interesse significa incidere direttamente sui soggetti economici che quel collare producono, con conseguenze dirette su di loro.
D’altro canto non può non considerarsi che la possibilità di tutela giurisdizionale amministrativa costituisce, nei casi come quello in esame, l’unica possibilità di tutela giurisdizionale sicchè escluderla significa lasciare senza alcuna possibilità di tutela il portatore di quell’interesse.

Passando all’esame del merito del gravame il Collegio si sofferma sul primo motivo di censura che riguarda la pretesa violazione degli articoli 23, 25 e 41 della Costituzione e dell’articolo 3 delle disposizioni sulla legge in generale nonchè dell’articolo 1 della legge 189 del 2004 nonchè degli articoli 51, 52, 53 e 54 del codice penale. Riguarda, altresì, l’eccesso di potere sotto diversi profili.

Secondo la difesa di parte ricorrente, il richiamo all’articolo 727, comma 2, del codice penale come introdotto dall’articolo 1, comma 3, della legge 189 del 2004, a fondamento del provvedimento gravato, sarebbe illegittimo.
Infatti, la norma richiamata, secondo la quale “chiunque detiene animali in condizioni
incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze” è punito con l’arresto fino ad 1 anno o con una ammenda, in quanto norma priva di indicazione sui mezzi che danno luogo alla condotta penalmente rilevante, sarebbe una norma penale in bianco il cui contenuto può essere costruito, sul piano concreto, attraverso il rinvio a dati prescrittivi, tecnici e provvedimentali di fonte extrapenale che, nel caso di specie, però, non risultano rimessi anche alla competenza di autorità amministrative.
Mancando ogni fondamento al potere amministrativo esercitato, vale a dire ogni potere di integrazione della norma, risulterebbe violato l’articolo 25 della Costituzione ed il principio di legalità e di riserva assoluta di legge lì sancito.
Ne risulterebbe intaccato anche il principio di riserva relativa di legge contenuto negli articoli 23 e 41 della Costituzione che può ritenersi rispettato in presenza di un limite negativo all’azione dell’Amministrazione inteso come delimitazione della sua discrezionalità.
In ogni caso, l’articolo 727 c.p. risulterebbe erroneamente richiamato atteso che la disposizione applicabile, nel caso, sarebbe l’articolo 544 ter c.p. concernente, appunto, il maltrattamento di animali per crudeltà o senza necessità.
Nel prevedere che le lesioni cagionate ad animali siano punibili nel caso in cui siano compiute per crudeltà o senza necessità, la disposizione citata ammette – a contrario – le condotte come quelle previste per l’addestramento dei cani anche se lievemente lesive della salute degli animali.
L’addestramento mediante rimedi coercitivi servirebbe ad escludere comportamenti aggressivi nei confronti dell’uomo.

Ad avviso del Collegio, la censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.
E’, infatti, inammissibile nella parte che si riferisce ai contenuti della norma penale atteso che essendo la norma penale destinata a colpire i comportamenti individuali sono i soggetti eventualmente perseguiti in forza di tale norma a doversi dolere nel caso in cui ciò dovesse verificarsi, ma non le ricorrenti.
La stessa censura è infondata per la parte che fa riferimento alla norma penale da irrogarsi, quale presupposto del provvedimento gravato.
L’atto impugnato si sorregge, infatti, su accordi e normative espressamente menzionate ma non si sorregge sulla norma penale evocata che viene richiamata come conseguenza della sua inosservanza e non come giustificazione della determinazione assunta.

Con il secondo ordine di doglianza le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 117 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e l’eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti, carenza assoluta di istruttoria e difetto di motivazione. 
Assumono, in particolare, che nel caso in esame non sussisterebbero quei presupposti di necessità ed urgenza richiesti dall’articolo 117 del D.Lgs. 112 del 1998 per l’esercizio del relativo potere.
Mancherebbe, in particolare la natura eccezionale ed imprevedibile dell’evento, costituito dalla novità dell’uso del collare elettrico per l’addestramento dei cani, oltre ad un’adeguata istruttoria e motivazione.
Inoltre, non sarebbe stato dimostrato che l’impiego del collare elettrico è dannoso per la salute dei cani.

Ad avviso del Collegio, la censura è fondata nei sensi che di seguito si indicano.
Va, preliminarmente, precisato che, secondo consolidata giurisprudenza, l'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti è condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti:
1) necessità di intervenire nella materia interessata dal provvedimento;
2) attualità o imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza;
3) preventivo accertamento da parte di organi competenti della situazione di pericolo e di danno;
4) mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, stante il carattere "extra ordinem" del potere esercitato (T.A.R. Lazio, sez. II, 8 settembre 2005, n. 6664; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 14 ottobre 2005, n. 16477; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21 ottobre 2003, n. 4851; T.A.R. Marche, 7 maggio 2003, n. 307; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 10 gennaio 2003, n. 1; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 8 ottobre 2001, n. 4188).
Al riguardo, ha precisato, inoltre, la giurisprudenza che le ordinanze di cui si discute, ancorché utilizzabili anche nei riguardi di diritti costituzionalmente garantiti e sempre che sussista una riserva relativa di legge, sono emanabili anche in materia di libera iniziativa economica e di diritto di proprietà, salvo il riscontro in concreto del rispetto dei limiti posti all'esercizio del relativo potere, fra i quali quello dell'adeguatezza del provvedimento ed i presupposti dell' urgenza e della grave necessità ed urgenza ( T.A.R. Liguria, sez. II, 26 aprile 2003, n. 524) e che, requisito di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti, è la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento.
A tale ultimo proposito è stato osservato che tali ordinanze, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente, presentano il carattere della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata. Sicché oltre a non ammettersi che le ordinanze in questione vengano emanate per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti non è ammesso che le stesse vengano adottate per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi (Consiglio Stato, sez. VI, 9 febbraio 2001, n. 580).
E’ stato precisato, ancora, dal giudice amministrativo che le ordinanze in discussione, a causa delle loro caratteristiche di atipicità, necessità, urgenza e straordinarietà, devono essere adeguatamente motivate, per la loro natura particolare che consiste nella massimizzazione dell'interesse pubblico, a mezzo della accurata comparazione della situazione urgente con il sacrificio individuale (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2001).
E’ stato osservato, infine, che il principio di proporzionalità, di cui si fa applicazione, maggiormente, in materia di limitazione al diritto di proprietà, di attività di autotutela, di ordinanze di necessità ed urgenza, di irrogazione di sanzioni e di tutela ambientale, è principio generale dell'ordinamento ed implica che la p.a. debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.
Si tratta di un principio in base al quale le autorità comunitarie e nazionali non possono
imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (Consiglio Stato, sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087).
Alla luce dei principi appena enunciati, che assistono l’esercizio di un potere extra ordinem quale è quello dell’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti, va ora letto il provvedimento gravato, al fine di stabilire se lo stesso è stato adottato sulla base della loro osservanza.
Nelle premesse di tale decreto si rintraccia il fondamento normativo del potere esercitato rinvenuto nella legge n. 281 del 14 agosto 1991, e segnatamente nell’articolo 1. Si menzionano, poi, nell’ordine e con un riferimento del tutto generico, un accordo del 6 febbraio 2003 in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy; l’ordinanza del 27 agosto 2004 relativa, però, alla tutela della salute pubblica dall’aggressività dei cani (quindi tutela degli umani nel rapporto con i cani); la legge 20 luglio 2004 n. 189 concernente disposizioni sul divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti; l’articolo 117 del D.Lgs 112 del 1998 ritenuto, unitamente alla legge 281 del 1991, il fondamento normativo del potere esercitato e si richiama, in modo apodittico e senza dar conto dell’eccezionalità ed imprevedibilità della situazione che si intende fronteggiare, “la necessità e l’urgenza di vietare l’uso dei collari elettrici per cani, usati in particolare per
l’addestramento, mentre tali strumenti sono considerati coercitivi in quanto provocano dolore e paura nei cani e quindi sono vietati anche dalla FCI e dall’ENCI” e si assume la determinazione impugnata con validità per un anno.
La lettura del testo del provvedimento gravato chiarisce che, effettivamente, al di là dei limiti temporali di efficacia previsti che lasciano immune da censure per tale profilo l’ordinanza impugnata, la stessa risulta adottata senza alcuna istruttoria precisa e senza l’indicazione delle ragioni di necessità ed urgenza che – sole - giustificano il ricorso al potere esercitato.
Il prodotto di cui si inibisce l’uso, infatti, sulla base di quanto affermato dalla Canicom e dalla Innotek, senza contestazioni ex adverso, risulta in commercio da anni sicchè non è dato comprendere quali siano state (e se vi sono state) le valutazioni sopravvenute a distanza di tanto tempo e quali le circostanze di fatto prese a riferimento, capaci di giustificare la determinazione assunta.
Non può, infatti, ritenersi tale la prevedibile reazione alla scossa elettrica da parte dell’animale atteso che si tratta di reazione sempre presente in una pratica non nuova, anzi seguita da anni, e nemmeno può ritenersi una valida giustificazione l’interrogazione parlamentare presentata, utile per segnalare un problema (come di fatto avvenuto) ma non per indicare la corretta soluzione da dare ad esso alla luce delle norme dell’ordinamento, profilo che è di competenza dell’Amministrazione agente.

Le argomentazioni svolte danno conto della fondatezza del ricorso senza entrare in alcuna valutazione sul merito della pratica usata e sui suoi contenuti tecnici che restano nella disponibilità dell’Amministrazione resistente.

Le spese di lite, stante la particolarità della questione esaminata, possono essere compensate tra le parti.

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma - Sezione III quater
Accoglie il ricorso proposto dalle società Canicom e Innotek, meglio specificato in epigrafe e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 aprile 2006
Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente

Dr. Linda Sandulli - Consigliere estensore

Copyright © Ambiente Diritto.it
___________________________________________________________

IN BREVE -

Questa sentenza dimostra che non vi sono prove concrete dimostranti, per proibire la produzione del collare elettrico, ne vi sono state in passato, visto che sono diversi anni che si fabbricano, e nessuno ha mai potuto provare che se viene utilizzato da un professionista e solo in casi di particolare aggressività, possa arrecare danno alla sua salute o che si possa parlare di maltrattamento.

Idratare il vostro cane, per la sua salute

Di Wendy Wilson

Oggi avete riempito la ciotola dell'acqua al vostro cane?

"L’acqua deterge, nutre e idrata tutti gli esseri viventi sulla terra, compresi i nostri cani.
Come gli esseri umani, sono costituiti da quasi l'80% d’acqua. Senza acqua a sufficienza possono soffrire molto", afferma Cynthia Otto, responsabile certificata DVM, PhD, e lavora nel reparto di emergenza e cure specifiche veterinarie, professoressa presso l'Università in Pennsylvania di Medicina Veterinaria a Philadelphia.

"Proprio come le persone, la maggior parte del corpo di un cane è costituito d'acqua. E così è assolutamente indispensabile per ogni funzione del suo corpo. Un cane può sopravvivere a lungo senza cibo, ma senza acqua, non sopravvivrà per molto tempo."

Quant’acqua è sufficiente per il cane?

"Tutto dipende dall'attività fisica, la dimensione, l'età e il tempo, ma in generale, un cane medio ha bisogno di ingerire tra 25 e 50 millilitri d'acqua per chilo al giorno"

"Se è un cane attivo, avrà bisogno di più l'acqua." consiglia Otto. Un cane che è disidratato, o bisognoso d'acqua, potrebbe avere le gengive appiccicose, o gli occhi potrebbero apparire un po' secchi: "Dipende da quanto velocemente si perde acqua, ma con il progredire della disidratazione, il cane può perdere la duttilità della sua pelle" che è la capacità della pelle di scivolare, ritornare in posizione quando viene pizzicata. E Otto aggiunge, "Questo è un segno di disidratazione molto relativo."

"I veterinari saranno in grado di gestire i casi di una lieve disidratazione senza allarmismi, ma che avranno bisogno di intervenire rapidamente con le cure necessarie, per un animale domestico che sta perdendo rapidamente l'acqua, o mostrando sintomi gravi. Ogni volta che avete un cane disidratato, è necessario capire perché. Se è andato fuori per una passeggiata e le sue gengive iniziano ad essere un po' secche, il problema può essere affrontato. Ma se il cane è sempre disidratato perché ha vomito o ha la diarrea, bisogna immediatamente prestare attenzione."

"Come la canicola dell'estate alza la temperatura, assicuratevi che il vostro cane sia felice, con una dieta sana e idratata per evitare sofferenze, ecco perché l'acqua è così importante."

1. L'acqua aiuta le funzioni del cane

L'acqua facilita ogni processo metabolico che si verifica nel corpo di un cane. I liquidi aiutano la digestione del cibo ed esercitando un percorso di agility, porta nuovo ossigeno, aiutando la respirazione e la scorrevolezza del sangue nelle vene.

Il sangue è principalmente acqua. Per trasportare sostanze nutritive, il corpo ha bisogno d'acqua. Il suo cervello, i muscoli, hanno bisogno d'acqua per funzionare bene. L'acqua è il cuore di tutto.

2. L’acqua è necessaria per l’eliminazione delle tossine

L'acqua scorre attraverso il corpo del vostro cane, trasportando ossigeno alle cellule, il bere è utile per rimuovere le tossine nocive dal suo sistema. Senz'acqua, lo scambio non avviene, e quelle tossine potrebbero fare danni agli organi vitali, tra cui il cuore e reni.

L'acqua cancella le tossine che si trovano nel sistema del cane, se non beve, non potrà circolare nel suo corpo per eliminare le tossine, quindi verranno assorbite dai reni.

3. L'acqua regola la temperatura corporea

I cani usano l’acqua per mantenere il sangue fresco in diversi modi. Oltre a berla, dalla loro ciotola o tuffarsi in una piscina per bambini, i cani trovano confortevole ansimare, il che significa che stanno esalando per rilasciare l'acqua attraverso la respirazione.

Questo è importante da ricordare per i cani attivi, quando il clima è caldo.
Per fare in modo che il loro corpo si raffreddi, ansimano, perdendo l’acqua attraverso la loro lingua.

4. L'acqua aiuta a migliorare l’olfatto dei cani

L'acqua mantiene anche il naso di un cane umido, è in grado di migliorare l’olfatto del cane, nonché di eseguire qualsiasi lavoro, o compito sportivo che le venga assegnato all'ordine del giorno.

Un cane da ricerca e salvataggio che non è idratato, non è al 100 per cento, può provocarsi ferite al naso, o non funzionare altrettanto bene. Il suo naso ha bisogno di essere idratato per poter odorare meglio. Per esempio, se deve adoperare l’olfatto potrebbe non essere in grado di fare il suo lavoro. Oppure, se stiamo parlando di un cane che esegue un percorso di agility, non potrà avere la giusta velocità per competere.

Per assicurarvi che il vostro cane beva acqua a sufficienza, per essere attivo, dovrete fornirgli costantemente acqua dolce, a casa, sulla pista o sul campo. Per i cani che bevono poco, si suggerisce di aggiungere un sapore commerciale o del brodo nell'acqua per renderlo più invitante.

I proprietari di cani possono anche provare a giocare a bere, con i loro cani. Ad alcuni piace molto bere dalle bottiglie. Si può provare, quando fuori fa molto caldo, con alcuni cubetti di ghiaccio. A volte basta farlo divertire giocando.

Questa estate, mantenete il vostro cane idratato. La salute e la sua felicità dipendono da questo.

Tradotto dal nostro staff. Qui l'articolo originale

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